Il protagonista è sempre il vecchio Zuckerman che trasmette quel senso di sconfitta e di rassegnazione propri dei nostri tempi.
In questo romanzo, oltre agli aspetti ormai consolidati dell’opera di Roth, e cioè la doppia identità dei protagonisti che vorrebbero ma non possono e potrebbero ma non vogliono, è possibile trovare altri punti sui quali varrebbe la pena riflettere.
Uno su tutti: il giorno delle elezioni del 2004 che hanno visto la conferma di Bush per un secondo mandato.
Le riflessioni di alcuni dei personaggi potrebbero essere prese e trasferite pari pari alla realtà italiana, ma siccome questo aspetto merita di essere approfondito fuori dal commento del libro, mi fermo qui.
Politica a parte, dopo la lettura di questo libro mi viene spontaneo dire che i romanzi di Philip Roth continuano sì a viaggiare più o meno tutti sulla stessa falsariga, ma questo pare essere un limite solo in apparenza perché le particolarità e i timori dei suoi personaggi ( in genere ebrei americani di seconda o terza generazione ) sono comuni a molti altri stereotipi del mondo odierno occidentale, ragion per cui solo una lettura sbrigativa può farli sembrare tutti uguali.
Come già detto in precedenza, i protagonisti dei libri di Roth hanno la stessa caratteristica: la non-azione.
A volte questa non-azione è dovuta decisioni o remore personali del personaggio, altre volte è proprio una impossibilità vera a far nascere quel desiderio.
Spesso le due cose sono presenti nella stessa persona e il risultato è quel continuo rimuginare su quanto si potrebbe o ancor peggio si sarebbe potuto fare, che sconvolge la mente di tante persone.
Tutto ciò rende i personaggi dei libri di Philip Roth personaggi della vita reale.
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